27/03/18

Il palazzo del sopranista


In via Carlo De Cesare, una delle strade che a Napoli conducono da Toledo ai Quartieri Spagnoli, c’è un palazzo che racconta un grande pezzo di storia della musica. Si tratta del palazzo fatto costruire da Gaetano Carmine Francesco Paolo Majorano, meglio noto come “Caffarelli”.

Gaetano Majorano era pugliese, di Bitonto, nato nel 1710 da un famiglia di contadini. Scoperte le sue doti vocali dal musicista Caffaro, fu da questi inviato a Napoli a studiare canto alla scuola del grande maestro e compositore Nicola Porpora. Prima di partire, al bambino fu praticata la castrazione, al fine di mantenere la voce acuta in età adulta. I castrati non potevano, infatti, mutare la voce con la pubertà e ciò influiva sul timbro e sull’estensione vocale. I cantori evirati, che cantavano secondo i tipici registri femminili da soprano (ed erano chiamati sopranisti) o da contralto (contraltisti), furono largamente impiegati nella lirica ed alcuni ebbero grande successo nel XVII e XVIII secolo.

E fu così che il giovane Majorano, preso come nome d’arte quello del suo primo maestro, eccelse non solo nel nostro Regno, che era un faro per la musica dell’epoca, ma anche sulle altre importanti ribalte europee: egli fu grande rivale di Farinelli (cui è stato dedicato un film nel 1994).

Nel 1754, dunque, Caffarelli si fece costruire un grande palazzo su progetto di Ferdinando Sanfelice, a pochi passi dal Teatro San Carlo. Sul bel portale in piperno, ancora oggi si può leggere l’epigrafe che egli stesso fece apporre. In essa si paragona al personaggio mitologico Anfione che, con la musica della sua lira magica, costruì le mura di Tebe costringendo i massi a sistemarsi spontaneamente come necessitava: ANFIONE (costruì) TEBE, IO (questa) CASA. Caffarelli morì a Napoli nel 1782.


Proprio di fronte a Palazzo Majorano, c’è una chiesa barocca: la chiesa della Congregazione dei 63 Sacerdoti. Originariamente dedicata alla Madonna del Carmine, come ricorda l'epigrafe sulla facciata, fu successivamente così chiamata, perché officiata dalla Congrega di San Carlo dei Sacerdoti formata, appunto, da 63 religiosi.

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